La Roma medievale sembra aver conosciuto una notevole produzione di manoscritti armeni, specialmente nel XIII secolo. Sebbene i due più antichi fra i manoscritti superstiti, rispettivamente del 1221 e del 1226 (o 1228), debbano forse essere considerati esempi di precoce circolazione di codici armeni nell’Urbe, anziché veri e propri prodotti locali, almeno sette altri codici, fra il 1239 e il 1269, sono esplicitamente datati e localizzati nella città dei papi dai loro lunghi e dettagliati colofoni. Il presente contributo verte in particolare su alcuni manoscritti miniati all’interno di questo gruppo di codici armeni duecenteschi: l’analisi dei loro diversi stili e delle varie iconografie in essi attestate rivela interessanti fenomeni di interazione culturale, mettendo in luce molteplici tracce di contatti con tradizioni illustrative e decorative diverse da quella armena. In effetti, a tendenze, motivi ed elementi caratteristici della miniatura armena – tipici della produzione della Grande Armenia o, al contrario, della raffinata tradizione miniatoria del Regno armeno di Cilicia – si affiancano in essi motivi di probabile origine bizantina, o elementi e spunti di chiara matrice occidentale. Quanto al loro contesto di produzione e circolazione, dallo studio di questi manoscritti, oltre che dalla testimonianza offerta dalle epigrafi armene romane, emerge un vivido quadro dei luoghi e delle forme della presenza armena nelle Roma del Duecento.
PAROLE CHIAVE: Miniatura armena, Roma, Duecento, Armeni in Italia.
ENGLISH
Mediterranean encounters in the 13th century: the Armenians in Rome and their manuscripts
The production of Armenian manuscripts in Rome during the Middle Ages seems to have been flourishing, especially during the 13th century. The two oldest extant manuscripts, dating respectively from the years 1221 and 1226 (or 1228), should probably be better classified as examples of the early circulation of Armenian codices in medieval Rome than as local products; but seven later manuscripts are explicitly dated and situated in the City of the Popes in the years from 1239 to 1269 by their detailed colophons. In this study, the authors deal in particular with a handful of illuminated manuscripts within the extant witnesses of this group of Armenian codices from the Roman Duecento. The analysis of their different styles and iconographies shows interesting phenomena of convivencia between cultures, and highlights the many traces of contacts with other visual traditions. In fact, various trends, motifs, and elements that are characteristic of Armenian illumination – from Greater Armenia or, conversely, from the more sophisticated painting tradition of the Armenian Kingdom of Cilicia – can here be found side by side with motifs of probable Byzantine origin, or are combined with significant Western elements. As for the contexts of their production and circulation, an interesting picture of the forms and places of the Armenian presence in Rome emerges from the study of these manuscripts in conjunction with the other, relevant epigraphic evidence.
KEYWORDS: Armenian illuminated manuscripts, Rome, Duecento, Armenians in Italy.
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