Il volume fa luce sull'ultimo decennio di vita di Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947), scultore che ha incarnato lo spirito del moderno romantico unito alla prepotenza dell'anarchico che, in nome dell'individualità esistenziale, non ha mai rinunciato alla sua indipendenza morale. Tra il 1937 e il 1946 sia Carrara che il marmo hanno svolto un ruolo fondamentale nel suo percorso artistico: a questo periodo risalgono le parole, spesso amare, con cui Martini denunciava i limiti della statuaria, della scultura-monumento come quella funebre e quella, schiava di contenuti, del regime fascista. Fonte pressoché esclusiva di questo contributo sono le lettere raccolte dall'amico Giovanni Comisso nel 1954, la trascrizione dei colloqui tenuti con Gino Scarpa per le stesura del breve libro La scultura lingua morta e un gruppo di lettere, rimaste finora inedite, relative al carteggio con Ruggero Nicoli, titolare dello studio Sicmas di Carrara per la lavorazione del marmo.